Abstract
This article focuses on genre characteristics of Tommaso Landolfi’s works which the author himself called diaries: “La biere du pecheur,” “Rien va” and “Des mois.” Although formally these three texts are not related and moreover, considerably differ from each other in structure and in content, they are united by a common narrative strategy, due to their genre features. Preserving main characteristics inherent in autobiographical prose, these diaries are at the same time aesthetically organized texts that have an artistic structure and contain artistic imagery as well as, most importantly, elements of fiction. Since the category of fiction is openly present in the diaries and declared as the author’s intention, Landolfi’s autobiographical prose can be defined as a hybrid genre containing elements of many other genres, especially the elements of the novel. The essay introduces the term autofiction to describe the phenomenon in question, namely genre diffusion between the autobiographical writing and the novel.
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«secondo Landolfi», che ci rimandano talvolta a dimensioni creative quasi totalmente diverse [13]. Finora si discute proprio su quale tipo di Landolfi rappresenti
maggior interesse e quale sia il collegamento tra questi due ipostasi di un solo autore. Come scriveva Idolina Landolfi, figlia dello scrittore e più autorevole critica
della sua eredità artistica, dopo l’uscita del primo diario «La biere du pecheur»
nel 1953, «in cui si suole individuare la cesura tra un primo e un secondo Landolfi,
i suoi lettori si vennero suddividendo in due compatte, infervorate schiere: da un
lato i partigiani della maggior grandezza del primo, quello della narrazione pura
e, se si vuole (concetto però spinoso a parlare di questo autore), d’una felicità del
narrare, dall’altro i sostenitori del secondo, a loro detta il solo vero» [9, p. 147].
Il secondo periodo dell’opera di T. Landolfi è d’uso essere chiamato «diaristico» oppure «autobiografico» [4], proprio perché allora dallo scrittore furono
composti tutti e tre i diari: «La biere du pecheur» (1953), «Rien va» (1963) e «Des
mois» (1967). La prosa diaristica di Landolfi incarna l’attrazione dello scrittore
verso la ricerca della forma letteraria, orientata all’autobiografia, che da possibilità alla libera espressione, e che non la riduce nella scelta dei temi e della loro
sfumatura. Il fatto che lo scrittore si sia rivolto alla prosa è collegato alla crisi che
Landolfi vedeva nel sistema di generi prosaici che si era venuto a creare, e, prima
di tutto, nel genere del romanzo e del racconto. Secondo il parere dello scrittore,
questi generi erano totalmente fini a loro stessi, con le loro “illusioni di realtà”,
con la trama logicamente allineata, con il saldo sistema di personaggi, ed è su ciò,
che Landolfi scriveva ripetutamente nei suoi saggi e nei suoi articoli di critica [16].
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* * *
Il lavoro sul primo diario «La biere du pecheur» ha occupato Landolfi per
circa un anno (1951–1952). Il titolo del diario Landolfi lo da in francese. «La biere
du pecheur», scritto con le lettere maiuscole e senza segni diacritici, può essere
tradotto sia come «La birra del pescatore» (insegna che si incontrava spesso nelle bettole parigine di quei tempi), che come «la bara del peccatore». Tale gioco
di parole rappresenta una delle tecniche preferite dell’autore, utilizzata spesso in
molte altre opere di Landolfi. Da questo lato Landolfi si potrebbe inserire nella
poetica surrealista dell’«umorismo nero», alla quale, in una certa misura, si associano alcuni primi racconti dello scrittore. Il suo primo diario «La biere du pecheur» Landolfi lo pensò fin da subito come un’opera destinata alla pubblicazione. Durante la prima edizione a cura dello stesso autore nel giugno del 1953, «La
biere du pecheur» non fu nemmeno chiamata diario, sulla copertina c’era scritto
«narrativa d’autore». Eppure abbiamo testimonianza del fatto che Landolfi ritenesse la sua opera un diario. Dieci anni dopo la stesura de «La biere du pecheur»,
Landolfi iniziò il suo ultimo diario sotto il titolo di «Des mois», e nei quaderni
di lavoro lo indicò come terzo, contrassegnando: «La biere du pecheur — I, Rien
va — II» [9, p. 140], e nel testo dello stesso «La biere du pecheur» il narratore1
chiama il suo scritto proprio «diario». Tuttavia, sebbene la narrazione ne «La
biere du pecheur» sia proprio in prima persona e molti dettagli della biografia del
narratore combacino con la biografia di Landolfi, formalmente noi non possiamo
confermare che l’autore scriva di sé stesso. Ne «La biere du pecheur» non vi è
alcun cognome, e per quanto riguarda i nomi lo stesso narratore fin dall’inizio
informa che sono tutti fittizi. Bisogna dire che ne «La biere du pecheur» non c’è
nessuna indicazione temporale o riferimenti a qualsiasi data. Il diario, eppure, è
suddiviso in capitoli: a questa maniera il narratore ci fa capire che scrive la nota
giornaliera (cioè un capitolo al giorno). L’evidenza della narrazione lineare è data
dall’aiuto di riferimenti alle note precedenti, che nella maggior parte dei casi si
trovano ad inizio capitolo.
La principale differenza del primo diario di Landolfi con i due successivi
è la linea della trama, che attraversa l’intera opera. Evidentemente, è con ciò che
viene motivato il rifiuto di indicare «La biere du pecheur» come diario nella versione edita. Eppure la linea della trama è, forse, la componente più convenzionale
1 La specificità di genere di questo testo, che sarà mostrata più avanti, ci permette di utilizzare il
termine «narratore», che di norma viene associato alla fiction.
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dell’opera. La trama de «La biere du pecheur» praticamente non si evince da nessun riassunto, mentre i capitoli conclusivi del libro mettono in dubbio qualsiasi
suo significato. Con una riserva, si può dire che la trama consiste nella descrizione
di alcuni incontri del narratore con quattro donne, che gli servono solamente per
«allontanare la noia» e diventare un pretesto per l’ennesima «digressione d’autore»2
. Eppure, nei due capitoli finali de «La biere du pecheur», il narratore, come
per far piacere al lettore, compie comunque un tentativo di riportare la linea della
trama verso la conclusione tanto aspettata, descrivendo due attentati alla sua vita
compiuti da due donne innamorate di lui, Bianca e Ginevra. Questi due capitoli è
come se non si inserissero minimamente nella strategia narrativa diaristico-autobiografica scelta prima. Si avvicinerebbero più che altro all’epilogo di una qualche storia gialla. Nell’ultimo capitolo, il narratore spiega ampiamente la piega
inaspettata presa dalla narrazione con spontaneità, con l’inconsapevolezza dello
stesso processo della scrittura: «Invero queste due ultime giornate sono inventate
di sana pianta. D’altronde è appena necessario avvertirlo, né c’è lettore un po’ fine
che non se ne avvedrebbe. <...> E come mai ho sentito il bisogno di servirmi di
simili invenzioni, per giunta così poco originali? <...> A tutto ciò non so rispondere. Io devo ormai essere sincero: non so neppure materialmente, se queste siano
invenzioni. (Di più: per quel che mi riguarda quasi mi verrebbe da dubitare della
verità, nonché delle due storielle in parola, di tutto quanto ho raccontato finora)»
[17, p. 130 –131].
Con una tale conclusione, il narratore mette in dubbio l’attendibilità non
solo della linea della trama, ma anche della narrazione in toto. Eppure, in questo
senso, «La biere du pecheur» è costruita totalmente in relazione ai principi dello
stile di scrittura di Landolfi, che spesso si affida alla tecnica stilistica di confondere il lettore. Nel suo diario, Landolfi conduce un continuo gioco letterario con
il lettore, nel corso del quale si nasconde dal lettore sotto varie maschere, con la
finzione, con la variazione degli stili di scrittura, ingannando il lettore, oppure, al
contrario, seguendo il lettore ciecamente e in maniera conscia [12].
Una delle interessanti caratteristiche de «La biere du pecheur» è rappresentata da frammenti di altri testi inclusi nella trama del libro. Includendo nella
sua opera brani narrativi che non si attengono direttamente alla trama, Landolfi
2 Il termine «digressione d’autore» qui ha lo stesso significato che ha nell’opera di V. Šklovskij
dedicata al problema del tempo nel romanzo di L. Sterne «Vita e Opinioni di Tristram Shandy,
gentiluomo» [1].
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non si conforma a nessun sistema. Ad esempio, il narratore può motivare la sua
decisione in merito all’inserzione di un testo estraneo con la sua affinità ad una
nota fatta precedentemente [17, p. 58], ma questa è una condizione non necessaria, un frammento può essere inserito anche senza nessuna spiegazione. Tutti
i «testi estranei» inseriti ne «La biere du pecheur» sono messi in evidenza dal
corsivo e rappresentano capitoli a parte. Di tali frammenti testuali nel libro se ne
contano otto. Si differenziano tutti per lo stile e non tutti appartengono alla penna
di Landolfi.
In sostanza, il diario «La biere du pecheur» è scritto sotto forma di ragionamenti su vari temi, liberi per contenuto ed intonazione e che spesso si smentiscono a vicenda, dove il narratore conduce un dialogo diretto con un lettore
implicito. Praticamente, in ogni capitolo de La biere du pecheur incontriamo
esempi di riflessioni in merito a ciò che è stato scritto, perciò il narratore giocherà
inevitabilmente ai nostri occhi tre ruoli: partecipante degli avvenimenti; scrittore
che analizza e fissa ciò che avviene; ma anche di lettore distaccato che ha a che
fare con il testo già esistente. Il tema della «insufficienza» [17, p. 16] patologica
della propria scrittura può essere messo in rilievo come tema principale [3] della
riflessione dell’autore: «Sono anche stanco di questa mia scrittura, giacché stile
non si vuol chiamare, falsamente classicheggiante, falsamente nervosa, falsamente sostenuta, falsamente abbandonata, e giù con tutte le altre falsità; possibile che
io non sappia arrivare a una onesta umiltà e che le frasi mi nascano già tronfie dal
cervello» [17, p. 114].
Nel diario incontriamo anche il tentativo di spiegare questa sua continua
insoddisfazione con la frase: ciò deriva dalla sua «mania dell’impossibile in letteratura, ossia di voler ottenere <…> dalla parola scritta quanto essa non può dare»
[17, p. 41]. Proprio nel livello più profondo è racchiusa l’intenzione dell’autore:
«sbirciare, traverso il subbuglio e il disordine, il fondo di me» [17, p. 18] attraverso il diario.
Il secondo diario di Landolfi, intitolato «Rien va», è già caratterizzato dal
rifiuto più netto dei segni formali della narrazione letteraria che ancora venivano conservati ne «La biere du pecheur». In «Rien va» non c’è nemmeno nessun
accenno alla linea della trama; per forma, l’opera si attiene totalmente alla tradizionale rappresentazione del genere diaristico, cioè in «Rien va» troviamo date
precise. Così come ne «La biere du pecheur», ogni nota rappresenta un preciso
capitolo nel diario. Se si crede alle date riportate in «Rien va», Landolfi avrebbe
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periodicamente fatto note nel diario dal 4 luglio 1959 fino al 29 maggio 1960. La
prima pubblicazione di «Rien va» è datata all’aprile 1963.
Così come nel caso del primo diario, il titolo è dato in lingua francese.
«Rien va» letteralmente significa «non va per niente», cioè ciò che potrebbe essere una risposta negativa alla domanda «ça va?»3
, ma è altresì travisabile una
deformazione parlata della famosa espressione «rien ne va plus», che significa nel
linguaggio del croupier «non ci sono più puntate». Landolfi continua, a questa
maniera, un gioco lessicale in lingua francese, e questa volta indubbiamente non a
caso. La negazione contenuta nel titolo rappresenta una qualche inclinazione del
diario, i suoi temi principali: l’avversione all’esistenza, la ricerca di un’alternativa
ai «miti del tempo». Il tempo è il protagonista del secondo diario di Landolfi. Qui
lo scrittore riflette sulla contemporaneità, e questa è rappresentata nella trama del
diario da precise indicazioni temporali: dalle date delle note, dalle preoccupazioni
dalla vita personale dell’autore, ed anche dalle sue riflessioni scettiche sui «temi
del giorno»: sulla democrazia, sul progresso nelle scienze e nella tecnica ecc.
Gli studiosi, di norma, considerano il diario «Rien va» una delle più autobiografiche opere di Landolfi, le quali rivelano il corso dei pensieri e il processo
creativo dell’autore [7]. Forse viene a crearsi l’impressione che qui l’autore si libera da qualsiasi fattore trattenuto e da al suo subconscio la possibilità di parlare per
lui. Lo stesso Landolfi sottolinea tutto il tempo il suo rifiuto delle rifiniture stilistiche del diario e di seguire il piano della narrazione, rimandando alla stanchezza
dalla lavorazione del testo. Ma questa è un’altra mistificazione di Landolfi, volta
a confondere il lettore già pronto a credere nel carattere puramente confessorio
della narrazione, se non vi fossero continuamente inseriti quegli stessi elementi
di gioco che, come nel diario precedente, mettono in dubbio tutto ciò che è stato
detto precedentemente. Si può quindi affermare chiaramente che le considerazioni filosofiche costituenti la maggior parte del testo del diario, per loro struttura,
non rappresentano una specie di scrittura automatica, come invece propongono
alcuni studiosi [11], a nostro parere, erroneamente. Il testo è strettamente diviso
in paragrafi, in esso ci sono combinazioni di lessico alto e basso, stilisticamente
fondate e meditate, ci sono anche delle voci dialettali, ma queste sono il più delle
volte messe in evidenza dal corsivo e la loro presenza nel testo viene di norma
specificata appositamente dal narratore [14].
3 fr. «come va?»
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Come ne «La biere du pecheur», in «Rien va» non ci sono né nomi concreti, né cognomi, addirittura la moglie e la piccola figlia del narratore, che trovano
gran spazio all’interno del diario, vengono qui chiamate «Maggior» e «Minor».
Solo tramite alcune frasi e brevi cenni possiamo ricostruire — vorrei sottolineare — un’immagine altamente approssimativa della vita del narratore. Bisogna
dire che tutti gli avvenimenti indicati nel diario in effetti corrispondono a ciò che
successe nella vita reale di Landolfi di quegli anni. Ma tutto ciò non sono altro che
fuggitive menzioni sparse nel testo. A questa maniera, è evidente che nel diario
«Rien va» Landolfi non si pone il compito di fissare ciò che accade della propria
vita o della realtà circostante, che di norma è una caratteristica propria della prosa
diaristica. Più che altro, questo diario di Landolfi si può giudicare come un tentativo di fissare le sue condizioni spirituali o i pensieri che gli correvano per la testa.
In questo diario l’autore ci spiega in parte la sua intenzione: «esso [il diario, ndt] già tenderebbe (nella mia testa e nei miei fiacchi pensamenti) a prendere una direzione, a ordinarsi, a comporsi, a scegliere gli argomenti. Cercherò di
impedirglielo: l’eterogeneo, l’eteroclito deve invece dominarvi — eppure anche
questo una specie di piano!» [18, p. 13]. In questo modo, il piano dell’autore consisterebbe nel fatto che «Rien va» non debba acquisire un unico orientamento
tematico. Come si vede nel testo, questa intenzione è realizzata in maniera molto
logica. Ad esempio, i pensieri sulla figlia piccola dello scrittore, che sono quelli
che più rispondono alle caratteristiche della prosa diaristica, non occupano più
di una pagina e sono di norma vicini alle inserzioni pubblicistiche dello stesso
volume: considerazioni sul dovere e sugli obblighi oppure sul significato dell’arte pura, le quali, a loro volta, sono obbligatoriamente diluite o da descrizioni di
impressioni di vita quotidiana del narratore, o da frammenti di testo evidenziati
dal corsivo rappresentanti brani di racconti inediti di Landolfi. Per quanto varia
in stilistica e contenuto, la prosa è molto spesso datata ad un solo giorno, quindi
scritta, se si crede a Landolfi, in un giorno. In questo modo abbiamo a che fare con
un testo strutturato inventato, che si sottopone alla rifinitura artistica. Inoltre,
come il diario precedente, «Rien va» è fortemente orientato al lettore, ne sono
una testimonianza i numerosi note e spiegazioni del narratore rivolte al lettore.
Come già detto precedentemente, il diario Rien va dipinge un quadro di
relazioni reciproche tra l’autore ed il suo tempo. Nelle sue riflessioni, il narratore
di «Rien va» sviluppa in chiave polemica molti temi «scottanti» che costituivano
i titoli dei giornali dell’Italia degli anni ‘50 e ‘60. Eppure, la posizione di Landolfi
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strideva in molto con quella dei suoi contemporanei. A quel tempo, mentre l’Italia era fortemente divisa in due campi contrastanti e dipendeva dalla scelta di un
percorso di sviluppo di centro o di sinistra, come sembrava, il destino del paese,
Landolfi non era legato né al PCI (nel quale erano entrati molti altri scrittori dopo
la guerra), né ai centristi. Tuttavia, la posizione dello scrittore difficilmente può
essere definita indifferente, è più che altro una posizione di sospensione filosofica, riluttanza di porsi sotto qualche bandiera [8]. Le riflessioni in merito a tali
scottanti questioni dell’Italia post-bellica, come il diritto, la democrazia, il dovere
morale nei confronti della società, conferiscono a Landolfi una forte carica polemica. Lo scetticismo dello scrittore è indirizzato, prima di tutto, a togliere un
pathos superfluo inerente le discussioni che si svolgevano nella pubblicistica di
quel tempo. Da ciò sono motivati, ad esempio, le riflessioni di Landolfi in merito
al primo articolo della Costituzione Italiana del 1948: «”L’Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro”: ma bravi! Dicesse almeno sulla bontà, sull’intelligenza o che so io. <…> Come dire: l’uomo è un essere fondato sulla necessità
di mangiare e su quella di andare al gabinetto. <…> Non potevano essi almeno
risparmiarci una tale stolta formulazione? “L’Italia è una repubblica democratica”
non sarebbe stato fin troppo, ahi quanto troppo?» [18, p. 60–61].
Se gli elementi della fiction sono prevalsi nel primo diario «La biere du
pecheur» e, al contrario, gli elementi diaristici hanno raggiunto l’apice nel secondo diario «Rien va», allora il terzo diario di Tommaso Landolfi, dal titolo
«Des mois», combina in maniera egualitaria sia gli elementi letterari che quelli
diaristici. Nel titolo del terzo diario incontriamo nuovamente il caratteristico
gioco di parole. Come nel caso de «La biere du pecheur» e di «Rien va», Landolfi da un titolo in lingua francese al suo terzo diario: «Des mois» può essere interpretato come «alcuni mesi» o «sui mesi»; mentre basandosi sulla pronuncia,
questo titolo può essere letto come: «sui miei “io”». «Des mois» è stato scritto
dal novembre 1963 fino all’aprile del 1964, edito nel 1967. In «Des mois», come
in «Rien va», è presente anche la periodizzazione delle note, ma questa volta
senza indicazione del giorno. Nel suo terzo diario, Landolfi indica solo i mesi, e
ciò combacia con il senso del titolo. Ogni mese è un capitolo del diario, ma per
questo motivo «Des mois» si suddivide in capitoli in maniera non proporzionale: ad esempio, il capitolo indicato come novembre 1963 occupa sette pagine,
mentre il capitolo indicato come marzo 1964 ne occupa ottanta. Come nei primi
due diari, la successione degli eventi di «Des mois» può essere definita fittizia,
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nonostante il fatto che, formalmente, in essi ci siano alcune descrizioni di casi
più o meno reali dalla vera vita dell’autore, dei quali ne sono esempio il viaggio
a Berlino, la malattia del figlio, l’incontro con il bigliettaio d’autobus ecc.. Non
è la descrizione di questi eventi concreti, ma, prima di tutto, l’impressione che
questi hanno dato al narratore ad interessare quest’ultimo. Non è un insieme
di avvenimenti, ma più che altro un insieme di immagini che danno spunto alla
fantasia dell’autore. Nel terzo diario incontriamo dei brani d’autore, che sono
assolutamente in grado di costituire un frammento di racconto e senza alcuna
considerazione o commento dell’autore. I brani di «Des mois» rappresentano
parte integrante del testo del diario, e si inseriscono in esso in maniera armoniosa sia stilisticamente che strutturalmente.
Come anche in «Rien va», la suddivisione del diario in capitoli non è per
temi. All’interno di un capitolo, il narratore può toccare un ampia cerchia di questioni, passando liberamente dall’una all’altra. Eppure, a differenza della narrazione nel secondo diario, le riflessioni del narratore in «Des mois» sono meno
frammentarie e disaggregate. Come anche entrambi i precedenti diari, «Des
mois» è autobiografico. A differenza dei primi due diari, in «Des mois» si parla di
amici e di colleghi del narratore. Proprio grazie a ciò, nel terzo diario si fa emergere l’appartenenza del narratore ad un determinato ambiente, che conferisce una
forte determinatezza alla sua immagine. Perciò, come negli altri due diari, in «Des
mois» mancano riferimenti a qualsiasi nome o cognome. Nelle pagine del diario
possiamo incontrare solo dei riferimenti tipo «P.» [15, p. 26] oppure «un mio
amico» [15, p. 73], o semplicemente «X» [15, p. 102].
Il motivo dei ricordi occupa una posizione centrale in «Des mois», e ciò fa
differire completamente il terzo diario dai due precedenti e lo avvicina al genere
del memoriale. Il narratore ricorda scene della sua giovinezza, gli anni del liceo,
le sue preoccupazioni d’amore, perciò, talvolta, ai ricordi sono dedicati interi capitoli. A confronto con il secondo diario, l’insieme dei temi in «Des mois» si riduce fortemente. I temi che possono essere definiti fondamentali in «Des mois»
possono essere quello delle relazioni del narratore con la famiglia e con il figlio
piccolo (chiamato «Minimus» nel diario), ed anche il tema dell’auto-riflessione
creativa. Tutti gli altri temi, tra cui anche quelli politici, ai quali, come già detto
precedentemente, veniva assegnato parecchio spazio nel secondo diario, vanno
a finire in secondo piano e appaiono in maniera frammentaria. In «Des mois», il
narratore si pronuncia anche in merito al suo corrente lavoro, sottolineandone la
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natura artistica: «Rimorso. Rimorso perché perdo tanto tempo col naso in questi
quaderni mentre dovrei...? Che cosa fare? Beh, attendere a un’opera vera e propria. E perché? E se questa appunto fosse la mia modesta opera? Troppo modesta,
già, ma forse che è lecito scegliere da ciò che in qualche modo ci incombe? <...>
Penso con sorriso a un tale che certo patì i miei medesimi rimorsi, e nulla muta se,
lui, di rimorso in rimorso andava componendo i più bei sonetti della letteratura
italiana» [15, p. 77]. Questo frammento di testo (in cui Landolfi chiaramente fa
riferimento ai sonetti di Francesco Petrarca), a nostro parere, sottolinea nuovamente che, per Landolfi, i diari secondo la sua concezione si trovano sullo stesso
piano delle sue opere letterarie.
Nel terzo diario è altresì osservabile un’interessante influenza. La funzione dei frammenti prosaici appartenenti ad altri testi e messi in evidenza dal
corsivo è qui svolta da versi anch’essi in corsivo. In «Des mois» si contano circa
trenta poesie in corsivo. Queste poesie sono in parte entrate nella raccolta poetica di Landolfi «Viola di morte» (1972) [19]. Molte riflessioni dell’autore in
«Des mois» finiscono con delle poesie che è come se le riassumessero. Lo schema caratteristico per «Des mois» è così composto: un abbozzo, riflessioni su di
esso, una poesia che ne tira delle somme singolari sul significato e che racchiude
in sé il tema.
* * *
Landolfi pensava i suoi diari per la pubblicazione, cioè li riteneva al pari
degli altri generi della sua produzione. Si può confermare, che i diari di Landolfi rappresentano il tipo di genere più libero, nel quale si può far entrare tutto
ciò che non trova espressione nei generi letterari tradizionali. La prosa diaristica
dello scrittore viene a situarsi nell’ambito dell’evoluzione strutturale del romanzo: con i suoi diari Landolfi dichiara che nella letteratura contemporanea non è
più credibile scrivere un romanzo in terza persona, con un narratore onnisciente,
una trama logica e personaggi coerenti [2]. I suoi diari uniscono sia elementi di
pura narrativa che fatti reali, formando cosi un genere letterario particolare che
Serge Doubrovsky [6], e successivamente Philippe Lejeune [10], hanno definito
«autofiction». In questo modo, la funzione del diario di Landolfi è analoga alla
funzione di una qualsiasi opera artistica, pensata per l’interpretazione da parte del lettore. I diari di Tommaso Landolfi, pur conservando molte particolarità
intrinseche alla prosa autobiografica [5], allo stesso tempo rappresentano opere
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letterarie a pieno titolo. Essi presentano un testo esteticamente organizzato, avente una struttura prestabilita, un aspetto artistico e l’elemento della pura fantasia
apertemente dichiarato dall’autore stesso.
References
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